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Le imprese chiedono meno vincoli agli arbitraggi fiscali

di Marco Peruzzi e Benedetto Santacroce

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11 Luglio 2009

Dopo l'estensione, con la manovra d'estate, della disciplina sulle controllate estere (Cfc) a tutti i paesi europei con regime fiscale più favorevole di quello italiano

Modifiche sostanziali alle nuove regole contro gli arbitraggi fiscali. Le chiedono le imprese italiane per evitare di essere svantaggiate rispetto a quelle residenti negli altri Stati membri.
L'articolo 13 del decreto legge 78/09 (la cosiddetta «manovra d'estate», in vigore dal 1° luglio scorso) impone infatti dei limiti alle imprese italiane estendendo la disciplina Controlled foreign companies (Cfc) alle controllate o collegate non solo nei paradisi fiscali, ma in tutti gli Stati anche europei con regime fiscale più favorevole del nostro, come, per esempio, Gran Bretagna, Irlanda e Olanda. Sulla base della nuova disposizione, in sostanza, le holding industriali, le banche e le assicurazioni che si sono insediate in un Paese dove pagano la metà delle tasse che avrebbero dovuto versare in Italia cadono automaticamente sotto le procedure Cfc. Una stretta – sostengono le imprese – destinata a causare ingenti danni alla competitività internazionale.

Le modifiche chieste dalle imprese
Sono sostanzialmente quattro le modifiche richieste, da inserire durante l'iter parlamentare per la conversione in legge del provvedimento. Intanto la cancellazione dal testo normativo del riferimento al mercato dello Stato di insediamento. Poi una definizione più ampia e più in linea con la giurisprudenza comunitaria per l'individuazione di costruzioni societarie di «puro artificio destinate a eludere l'imposta nazionale» dovuta; infatti, per la Corte di giustizia (caso Cadbury Schweppes, procedimento C-196/04 del 12 settembre 2006) la semplice circostanza che un residente di uno Stato membro costituisca una società in un altro Stato membro al fine di usufruire di una legislazione fiscale più vantaggiosa non costituisce di per sé abuso del diritto. Quindi l'abolizione dell'obbligo, previsto per evitare l'applicazione della disciplina antielusiva, di presentare un interpello preventivo al Fisco. Infine, a giudizio delle imprese la fissazione della decorrenza delle nuove regole non deve essere retroattiva, ma fare riferimento al primo esercizio successivo al 1° luglio 2009, data di entrata in vigore della manovra d'estate; una simile stretta, infatti, se fosse anche retroattiva, creerebbe non pochi problemi ai gruppi già strutturati che non avrebbero neppure il tempo per adeguarsi.
Per gli operatori, la specificazione secondo cui l'attività effettiva della controllata estera deve esplicarsi nel mercato dello Stato o nel territorio di insediamento non è in linea con quanto disposto dagli altri ordinamenti che prevedono una disciplina delle Controlled foreign companies e costituisce un ostacolo fiscale per tutte le strutture, dotate di sostanza economica e imprenditoriale, operative nei mercati internazionali. In effetti, non è logico ritenere elusiva la costituzione di una holding in un paese comunitario, se da questo paese è possibile gestire e operare su tutti i mercati limitrofi senza svolgere un'attività commerciale direttamente nello Stato di insiedamento. E così chiedono, intanto, di escludere dalle passive income companies, cioè dalle società di mero godimento, le holding che avrebbero comunque beneficiato della Participation exemption (Pex) se fossero state localizzare in Italia. E poi ritengono che un'analoga esclusione debba essere prevista per le società che prestano servizi a favore di società del gruppo.
Inoltre il raffronto dell'imposizione effettiva (la stretta - in base al testo attualmente in vigore - si applicherà infatti quando il soggetto estero controllato subisce una tassazione effettiva più bassa del 50% di quella che avrebbe subito in Italia) deve essere effettuato tenendo conto delle sole imposte sui redditi, con esclusione quindi di ogni altro prelievo, come per esempio l'Irap.
Non solo. A giudizio delle imprese, per le società controllate che non hanno sede in un paradiso fiscale l'applicazione della disciplina Cfc si giustifica solo in ipotesi di costruzioni fittizie. Queste, poi, devono risultare tali da elementi oggettivi e l'onere della prova deve ricadere sull'amministrazione finanziaria. L'obbligatorietà dell'interpello preventivo alle Entrate, costituirebbe infatti una restrizione procedurale contraria al principio comunitario di proporzionalità della misura rispetto allo scopo perseguito.
Infine, la decorrenza. Il decreto legge 78/09 non prevede una disposizione specifica sull'entrata in vigore dell'articolo 13. Ma lo Statuto del contribuente impone che le modifiche alla disciplina dei tributi periodici si applichino solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono. Il divieto di retroattività dovrebbe dunque valere anche in questa disposizione. E la stretta operare dunque con riferimento al primo esercizio successivo al 1° luglio 2009.

11 Luglio 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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